“Oggi il terrorismo è post-Isis, molto più pericoloso”, perché “meno facile da monitorare, e dunque da contrastare”, un “fenomeno sociale sempre in ascesa, le cui capacità crescono”, in un periodo storico in cui “l’area calda” è il “Mediterraneo allargato”. Parte da queste premesse Claudio Bertolotti, esperto di Medio Oriente e Nord Africa, radicalizzazione e terrorismo dell’Ispi, nonché direttore di Start InSight, nel giorno della ministeriale plenaria della Coalizione globale anti-Isis co-presieduta a Roma dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio e dal segretario di Stato Usa, Antony Blinken.
“Lo Stato islamico – evidenzia Bertolotti in un’intervista all’Adnkronos – ha rinunciato alla propria natura territoriale ben prima che la coalizione anti-terrorismo ne decretasse la sconfitta militare”. “Nel 2014 – osserva – l’allora autoproclamato ‘califfo’, Abu Bakr-al Baghdadi annunciò da Mosul la costituzione dello ‘Stato islamico’, una realtà anazionale, globale”. Secondo vari studiosi l’Isis era nato come reazione alle operazioni americane avviate in Iraq nel 2003 e a una politica considerata filo-sciita con le popolazioni sunnite che si sentivano marginalizzate. Secondo Bertolotti, che è anche direttore esecutivo dell’Osservatorio sul Radicalismo e il Contrasto al Terrorismo (ReaCT), “chiamarlo ancora Isis o Daesh dimostra che si sta per avviare questa nuova fase della guerra al terrore con una chiave di lettura superata”, dunque “non adeguata”.
E oggi “l’area calda” è quella del “Mediterraneo allargato”, con un “legame stretto tra criminalità organizzata e organizzazioni terroristiche”. Bertolotti parla di “traffico di droga, armi” e del “ricco business dell’immigrazione irregolare che di fatto alimentano un’economia parallela, spesso superiore all’economia degli Stati che attraversano”. Il pensiero va alle “aree dell’Africa sub-sahariana”, a quelle “periferiche dei Paesi del Nord Africa”, alla “Libia, in particolare”.
‘Ideologia Stato islamico non intaccata, si consolida dall’Afghanistan all’Africa’
E’ indispensabile, sottolinea, “contrastare questi traffici illeciti” per “contribuire a indebolire la criminalità che li gestisce e le organizzazioni terroristiche che hanno il controllo di alcune aree e vie di comunicazione” e che “grazie ai proventi illeciti riescono ad acquisire sempre più consenso da parte delle popolazioni locali”. Persone che a queste organizzazioni e a questi gruppi “si affidano per la propria sopravvivenza”.
In questi anni, prosegue nella sua analisi, “la coalizione anti-terrorismo ha abbattuto lo Stato islamico nella sua natura territoriale”, ma “non ne ha minimamente intaccato l’ideologia, la sua capacità di penetrazione sociale” e, in particolare, “la spinta all’emulazione”. Questo “porta, da un lato singoli soggetti ad agire spesso in maniera improvvisata, in nome del gruppo”, dice, con il pensiero rivolto all’Europa, e “dall’altro a costituire forme opposizione armata strutturata laddove gli Stati sono più deboli o assenti”, e si parla quindi di “fenomeno insurrezionale” e “guerriglia”. Dall’Afghanistan al Sahel.
Non solo. “Lo Stato islamico – prosegue – non è stato cacciato dall’Iraq e dalla Siria, dove è nato e ha radici molto profonde nelle realtà sunnite periferiche e rurali, spesso marginalizzate dai governi nazionali”. Di qui l’allarme: “Oggi si sta consolidando sempre più in Paesi in crisi e aree di crisi, dall’Afghanistan all’Iraq, all’Africa”. Alla ministeriale della Coalizione anti-Isis, “con il sostegno degli Stati Uniti”, l’Italia – ha detto Di Maio – ha proposto la creazione di un “gruppo di lavoro specifico” per l’Africa e ha assicurato che “farà la propria parte” per la stabilità del continente e del Sahel, definito una “preoccupazione”.
‘Azione militare da sola non basta, cambiare approcci del passato’
Secondo Bertolotti, ad oggi “non abbiamo fatto abbastanza in termini di contrasto al terrorismo, inteso come impegno sociale, politico ed economico” per affrontare “le ragioni primarie del malcontento che porta all’adesione al terrorismo”. E, rileva, “difficilmente si potrà fare di più adottando i medesimi approcci utilizzati finora dove a un preponderante impegno in termini militari non corrisponde un pari impegno nella ricostruzione e nell’assistenza”.
Perché, ripete, “se è vero che la lotta al terrorismo passa anche attraverso un’azione militare incisiva, questa da sola non basta” e “l’aiuto alla popolazione e alle istituzioni locali necessita di sostegno concreto all’economia locale, di progetti infrastrutturali, di accesso al libero mercato”. Il sostegno “militare deve essere un contorno efficace a tutto questo, deve agevolare lo sviluppo economico e sociale, garantito dalla sicurezza”, prosegue Bertolotti, che ricorda “l’infelice ritirata statunitense del 2012 che aprì le porte al consolidamento di al-Qaeda” nel Paese arabo “e alla successiva espansione dello Stato islamico a livello regionale e poi globale”.
Per l’esperto, “si sta ripetendo quanto in parte già fatto in passato”. Dall’Iraq all’Afghanistan, dall’Afghanistan all’Iraq, “dove – afferma – lo Stato islamico si è rafforzato proprio dopo, e in conseguenza, del disimpegno militare della Coalizione”. Eppure, rileva, “il ritiro dall’Afghanistan”, cominciato a inizio maggio, è partito “con le stesse dinamiche e difficoltà con cui si lasciò l’Iraq”, dove l’Italia – come ha annunciato oggi Di Maio – manterrà un “significativo contingente militare” a supporto della popolazione e delle istituzioni locali. In Iraq, ricorda Bertolotti, “lo Stato islamico conquistò città intere, disarmò reparti interi dell’esercito nazionale e si impossessò dei carri armati e delle armi che gli Stati Uniti avevano lasciato alle forze armate nazionali”, mentre in Afghanistan oggi “i Talebani stanno facendo esattamente la stessa cosa”. “In pochi mesi – conclude – potrebbero decretare il collasso delle forze armate afghane e la caduta dello stesso governo di Kabul”. (AdnKronos)